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Muovere i primi passi in un percorso di apertura all’estero parte dalla constatazione di un’esigenza, quella di apprendere o migliorare una lingua (tipicamente, l’inglese). Nel mio lavoro di coach di inglese e francese, nell’ultimo anno ho osservato un aumento di richieste da parte di adulti che, dopo dieci o vent’anni di lavoro in Umbria si trovano improvvisamente a dovere (a volere!) apprendere l’inglese per riqualificarsi, e per essere in grado di interagire con clienti esteri. Che si tratti di guide turistiche, autisti di vetture con conducente, ingegneri, imprenditori, manager, o titolari di agriturismo, queste persone sono in genere accomunate da diversi tratti. Il primo, la constatazione della progressiva ed inevitabile impossibilità di continuare il proprio lavoro con le modalità di sempre. Molto spesso, questa constatazione ha il sapore dello shock: “ma come, dopo una vita intera di sforzi per costruirmi un lavoro ed una posizione devo rimettere tutto in discussione? Come posso, alla mia età, anche solo pensare di rimettermi sui banchi di scuola?”. Questo shock, sempre più diffuso, non può che generare ansia, incertezza, dubbi, paura (in alcuni casi, depressione, sconforto, e questo è purtroppo l’enorme prezzo umano che la crisi attuale sta esigendo dalle persone).

Nel mio lavoro di coach, questo è il primo passo in assoluto: comprendere questo fenomeno per sviluppare delle strategie di risposta e di azione. Capire, intanto, che si tratta di un fenomeno del tutto naturale: ciascuno di noi è alla ricerca di stabilità, di sicurezza, di punti di riferimento certi sui quali contare per non affogare in quel mare tempestoso che è il mondo del lavoro del 21° secolo: trovarsi a “buttare a mare la zavorra” non può che far nascere un notevole insieme di dubbi, perplessità, incertezze.

L’aspetto interessante, però, è che questo “guardare nel gorgo” diventa, con un metodo appropriato, una risorsa per uscirne e per rimettere la propria barca in condizioni di navigare. Quale metodo? Certamente non rimettendosi sui banchi di scuola: un’altra condizione che accomuna molti dei clienti che si rivolgono a me è quella di essere obbligati a “far crescere delle nuove coltivazioni continuando ad occuparsi di quelle vecchie”, come il potenziale cliente che ho incontrato recentemente, un accompagnatore turistico di mezza età il cui lavoro lo impegna per 40-50 ore settimanali e che ha compreso l’esigenza di indirizzare i suoi servizi ai turisti esteri in visita a Perugia e quindi di sviluppare una competenza di base di inglese che gli consenta di interagire efficacemente con questo nuovo mercato. In queste condizioni, è semplicemente impensabile il classico corso d’inglese – e per la mancanza oggettiva di tempo e, soprattutto, per un fenomeno di tipo motivazionale: come posso fare lo scolaretto per 4-8 ore la settimana quando sono già stanco, stressato, sotto pressione dagli impegni lavorativi e familiari?

La risposta che il coaching può offrire in casi come questo parte proprio dal risolvere il problema della motivazione: disporre delle energie necessarie per sviluppare nuove competenze, “riparare la gomma bucata continuando al tempo stesso a pedalare”. Sembra un paradosso ma non lo è se il percorso di sviluppo delle competenze è affrontato come un lavoro personalizzato, dove le attività messe in campo per apprendere l’inglese siano il più possibile vicine agli interessi (lavorativi o personali) del cliente. Sfruttare quello che chiamo “il fattore edonico”, in altre parole: fare qualcosa che ci da’ piacere. Un percorso di coaching quindi non può mai essere “standardizzato”, perché ciascuno è portatore d’interessi diversi. E non può “cadere dall’alto”, ma deve necessariamente essere il frutto di un dialogo e di un “contratto” tra il coach e il cliente. Qualcosa che viene costruito “dal basso”, e progressivamente, partendo dalle fondamenta (sembra assurdo, ma c’è anche chi costruisce le case partendo dal tetto), sviluppato poco a poco, fino a raggiungere l’obiettivo desiderato. Quando è possibile “negoziare” questo contratto direttamente in lingua inglese, il processo di coaching presenterà poi dei vantaggi innegabili su qualsiasi “pacchetto preconfezionato” di apprendimento della lingua: perché il “vestito” sarà stato fatto su misura e chi lo dovrà indossare avrà partecipato alla sua creazione. Con l’accompagnatore turistico, ad esempio, siamo riusciti ad individuare nella danza e nel contatto col turista estero due campi sui quali lavorare, e stiamo costruendo vere e proprie simulazioni nelle quali il sottoscritto, come coach, possa “interpretare i due ruoli del turista straniero in visita in Umbria e quello dell’“apprendista ballerino straniero” e il cliente possa, in inglese, simulare lo svolgimento del suo lavoro. A valle della simulazione, il coaching permette di riflettere sulle modalità concrete, effettive, di comunicazione del cliente mettendole a punto o, se necessario, ridefinendole in modo più profondo.

In questa fase, un aiuto importante viene dal processo di negoziazione degli obiettivi: stabilire dei traguardi il più possibile concreti, tangibili, misurabili da’ la possibilità di sapere dove si sta andando, di verificare i progressi fatti, di impegnarsi in una attività che è direttamente legata alla propria vita quotidiana e soprattutto, di tenere sotto controllo l’ansia che naturalmente il processo porta con sé. Alla fine del processo sarà necessario comprendere anche la natura fittizia degli obiettivi stessi…ma questa è un’altra storia.

 

AngeloFanelli*

 

*Ex docente Bocconi ed ex professore di Management e Risorse Umane in diverse business school statunitensi ed europee, Angelo Fanelli è nato a Perugia, dove vive e scrive libri (tra cui molto successo ha avuto il pamphlet ironico contro la globalizzazione intitolato “Fate Poco. Ovvero come un anziano settantaduenne mi convinse a mollare la gestione delle Risorse Umane per cercare una gestione umana delle risorse” (ed. liberopensatore.it, 2011), favole per bambini, spettacoli teatrali, e prodotti multimediali. Il suo ultimo libro uscito nel settembre 2017 si intitola “A Casa dello Yogi. Esperienze di yoga nell’ashram italiano (ed. liberopensatore.it). Professionalmente, Angelo (www.communicationskill.it) lavora da anni come coach di comunicazione in inglese e francese e consulente aziendale.