Phone +39.3480331144

“Ho scelto voi perché siete brave persone che s’impegnano, perché siete un’impresa familiare, e perché in fondo nel mio animo mi sento italiano, anche se nel lavoro non lo sono”. E’ così che i miei clienti si sono sentiti rivolgere dall’Amministratore Delegato della multinazionale con la quale collaborano da un paio d’anni una proposta importante: diventare il centro della rete di vendita della multinazionale su tutto il territorio italiano. In altre parole, la piccola impresa familiare umbra per la quale lavoro da qualche tempo potrebbe divenire il punto di riferimento in Italia per l’intero mercato dei macchinari ad alto valore aggiunto prodotti dalla multinazionale (prezzo medio tra i 300 e gli 800mila euro l’una).

Lusingati e preoccupati, i miei clienti si sono rivolti a me per mettere in piedi un programma di coaching per il personale che dovrà occuparsi delle vendite: come prepararsi di fronte a questa importante sfida? Come sviluppare le competenze che servono? In altre parole, la domanda (legittima) che mi hanno posto i miei clienti è: come sviluppare dei venditori di successo in un settore contiguo, ma comunque diverso da quello nel quale l’impresa ha operato negli ultimi decenni?

Dal mio punto di vista, la questione va vista invece da una prospettiva leggermente diversa: come fare in modo che questo importante passaggio nella vita dell’impresa (e della famiglia!) mantenga la promessa di diventare un trampolino di lancio per la nuova generazione di imprenditori? Purtroppo (per le aspettative dei miei clienti) il coaching è qualcosa di diverso da un pacchetto di formazione preconfezionato ed io, per contratto, non posso che svolgere il mio ruolo cominciando dal mettere in questione i presupposti impliciti delle decisioni. Invece di disperdere la nebbia con certezze granitiche, non posso che renderla (temporaneamente) più fitta aggiungendo altre domande, altri dubbi, scoprendo i paradossi nascosti nella situazione, fintanto che la nebbia della simulazione non diventi almeno pari a quella che c’è nella realtà.

Mi spiego: certo, essere riconosciuti come meritevoli di essere i rappresentanti unici per l’Italia di un’importante multinazionale è una bella soddisfazione, oltre che una bella opportunità, ma siamo in grado di gestire questa relazione al meglio, o rischiamo di diventare una soluzione perfetta per trasformare i costi fissi della multinazionale in costi variabili? Al di là del fatto di “prendere l’ascia e cominciare a far legna” commercializzando i prodotti della multinazionale, siamo consapevoli del tipo di sfida rappresentata dal “conoscere la foresta”, cioè dall’entrare in relazione con una multinazionale e con le sue specifiche dinamiche aziendali, decisionali, organizzative, logistiche? Ad esempio: il rapporto tra risorse e responsabilità affidateci dalla multinazionale è equo, equilibrato e ci consente di fare ciò per cui siamo stati coinvolti, oppure rischiamo di “partire in motorino per la Parigi Dakar”? Certo, l’opportunità è grande, dal punto di vista di una piccola impresa familiare umbra, ma da quello della multinazionale c’è la disponibilità a sostenere una porzione dei costi (economici, strategici, umani) di questo cambiamento? Ad esempio: quali sono le strategie di marketing e vendita adottate finora dalla multinazionale, e sulla base di quale valutazione è stato deciso di abbandonarle, per scegliere la piccola impresa umbra come centro della rete italiana? La multinazionale è disposta a condividere dati, informazioni, conoscenze col suo “partner” italiano relativamente al mercato, alle strategie vincenti e agli esperimenti falliti? E’ disposta a sostenere l’identificazione e parte del costo di sviluppo delle competenze necessarie? L’autonomia del partner italiano è limitata a sostenere i costi relativi alla creazione e al mantenimento di una rete di vendita in Italia, oppure si estende anche alle decisioni su quale forma questa rete debba assumere, chi ne faccia (o meno) parte, e le strategie da implementare? In sostanza, c’è una “contropartita” dal punto di vista della multinazionale oppure di tratta di un gioco in cui non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare? Insomma, visto da fuori può sembrare un altro “giorno di ordinaria follia da coach”: dopo tre ore di riunione non abbiamo nemmeno cominciato ad affrontare la questione di come sviluppare competenze di vendita nel personale. Ma d’altra parte, non è forse follia non vedere la foresta perché ci sono troppi alberi?

 

AngeloFanelli

 

*Ex docente Bocconi ed ex professore di Management e Risorse Umane in diverse business school statunitensi ed europee, AngeloFanelli è nato a Perugia, dove vive e scrive libri (tra cui molto successo ha avuto il pamphlet ironico contro la globalizzazione intitolato “Fate Poco. Ovvero come un anziano settantaduenne mi convinse a mollare la gestione delle Risorse Umane per cercare una gestione umana delle risorse” (ed. liberopensatore.it, 2011), favole per bambini, spettacoli teatrali, e prodotti multimediali. Il suo ultimo libro uscito nel settembre 2017 si intitola “A Casa dello Yogi. Esperienze di yoga nell’ashram italiano” (ed. liberopensatore.it). Professionalmente, Angelo (www.communicationskill.it) lavora da anni come coach di comunicazione in inglese e francese e consulente aziendale.

 

 

PS per chi avesse difficoltà con le domande retoriche, esplicito alcune conclusioni: per sviluppare venditori di successo è prima di tutto necessaria una chiarezza di fondo sulla visione e sulle strategie di business dell’impresa, cioè un’idea più chiara possibile di cosa dovrà essere l’impresa tra 5-10 anni e sul come arrivarci muovendosi in un settore nuovo. Per evitare sogni ed incubi, è essenziale impiegare le nostre capacità di analisi razionale al meglio, tenendo sotto controllo l’emotività. Ragione ed emozione, se ben dosate, possono aiutarci non solo nelle relazioni “basse”, con il cliente finale, ma anche in quelle “alte”, con partner dotati di molta più forza contrattuale dell’impresa. Per gestire efficacemente il basso occorre saper gestire efficacemente l’alto, e non darlo per scontato (gli americani usano la curiosa espressione “to wag the dog” a questo proposito). Per interagire efficacemente con una multinazionale estera occorre costruire una relazione dialettica. Da qui, costruire un programma di sviluppo delle competenze dei venditori diventa molto più facile e potenzialmente utile.