Uno degli aspetti interessanti del lavoro di coach di lingue è la possibilità di scoprire interessanti “strategie di attacco alla lingua” sviluppate dai clienti che si incontrano di volta in volta.
Giovanna è la proprietaria di un agriturismo di lusso nei dintorni di Perugia. Mamma di quattro figli ormai grandi, ha deciso di migliorare il suo inglese e mi ha contattato per mettere in piedi un “piano d’attacco” che gli consenta non tanto di interagire con i clienti esteri che frequentano la sua struttura (cosa che sa già fare col suo buon livello di inglese) quanto piuttosto di riuscire ad “intessere delle conversazioni più in profondità con quelle persone molto interessanti che di tanto in tanto vengono a risiedere presso l’agriturismo”.
Dopo pochi minuti di conversazione mi sono reso conto che se il caso di Giovanna è tipico dal punto di vista del suo livello pre-esistente d’inglese, non lo è se guardo al tipo di obiettivo che Giovanna ha stabilito (riuscire a portare avanti delle “conversazioni in profondità con persone interessanti”) né dal punto di vista delle frecce che Giovanna porta nella sua faretra.
Rispetto alla maggioranza dei miei clienti, infatti, Giovanna ha un vantaggio notevole, raro: non prova vergogna nell’ascoltarsi parlare in una lingua diversa dalla sua. Tipicamente associate al sentire la propria bocca pronunciare dei suoni diversi da quelli della propria lingua madre, vergogna e timidezza costituiscono infatti gli ostacoli principali per chiunque voglia migliorare il proprio inglese o francese – e, come coach di lingue, ho sviluppato un metodo per eliminare questo problema fin dai primi incontri, per mettere il cliente nella condizione di non vergognarsi, di “giocare a pronunciare suoni strani e a posizionare i muscoli della faccia un modo inconsueto” e, alla fine, a sentirsi a proprio agio.
Con Giovanna questo ostacolo è assente, così potremo iniziare il lavoro da un punto molto più avanzato della media dei miei clienti. Incuriosito, cerco di capire per quale ragione Giovanna non prova vergogna, e scopro che, da buona “ostessa” ha afferrato molto bene un fenomeno diffuso globalmente: il fatto che gran parte di noi trova piacevole, se non divertente, sentire una persona non-nativa parlare la nostra lingua. Quando ci troviamo di fronte qualcuno che non parla la nostra lingua, ma che tuttavia si sforza di utilizzarla, la reazione “istintiva” è quella di provare simpatia, o comunque un affetto positivo nei confronti dell’interlocutore. E Giovanna questo lo ha capito molto bene: il suo inglese “imperfetto”, fatto degli inevitabili piccoli errori ed accenti “italianizzati”, non solo non è un problema per i suoi clienti, ma spesso risulta loro addirittura piacevole – e Giovanna a sua volta trae piacere dal fatto di poter utilizzare questo “difetto” per stabilire una relazione amichevole, di familiarità, coi propri clienti, e magari scherzarci sopra in maniera auto-ironica. Nessuna vergogna, quindi, ma un bel punto di partenza affinare il proprio inglese così da entrare in un territorio nuovo, più stimolante: quello di relazioni più significative, più approfondite con i suoi clienti esteri, tra i quali trova frequentemente “persone di spessore” con le quali condurre conversazioni che vadano al di là delle semplici formalità di rito – magari che le consentano non solo di fare dell’auto-ironia, ma anche di arrivare a quel punto considerato da tutti come il segno di un livello elevato di “fluency” nell’inglese, la capacità di comprendere l’ironia altrui e l’umorismo. Molto spesso, infatti, una “conversazione in profondità” con una persona che non parla la nostra lingua può avvenire se entrambe le parti sono in grado di trasmettere ed interpretare in maniera corretta i giochi di parole, le battute, ed in generale l’umorismo. Questa “prova del nove” della competenza linguistica richiede infatti la capacità di catturare “lo spirito” dell’umorismo di una lingua e renderlo in maniera corretta in un’altra, di afferrare le sottigliezze linguistiche di una lingua e i significati impliciti, nascosti, nel discorso altrui.
Da domani, per Giovanna e il sottoscritto, inizia una nuova sfida.
AngeloFanelli
*Ex docente Bocconi ed ex professore di Management e Risorse Umane in diverse business school statunitensi ed europee, AngeloFanelli è nato a Perugia, dove vive e scrive libri (tra cui molto successo ha avuto il pamphlet ironico contro la globalizzazione intitolato “Fate Poco. Ovvero come un anziano settantaduenne mi convinse a mollare la gestione delle Risorse Umane per cercare una gestione umana delle risorse” (ed. liberopensatore.it, 2011), favole per bambini, spettacoli teatrali, e prodotti multimediali. Il suo ultimo libro uscito nel settembre 2017 si intitola “A Casa dello Yogi. Esperienze di yoga nell’ashram italiano” (ed. liberopensatore.it). Professionalmente, Angelo lavora da anni come coach di comunicazione in inglese e francese e consulente aziendale.