Una delle domande più frequenti che mi viene fatta dai miei clienti: quali sono le differenze tra coaching di lingue e un normale corso di inglese? Sapendo che l’unico modo per comprendere queste differenze sta nel vivere in prima persona l’esperienza del coaching e poi giudicare da per se stessi, normalmente mi limito alla risposta standard: il coaching è basato su un 100% di conversazione in inglese, dove l’italiano è esplicitamente “vietato”. Nella maggioranza dei casi, le persone si accontentano di questa risposta. A volte, invece, trovi un cliente che non si accontenta della prima risposta (sono quelli che ti danno più soddisfazione) e ti trovi costretto a spiegare più in profondità, arrivando sì ad essere più preciso ed esaustivo, ma anche avvicinandoti pericolosamente al rischio di spiacevoli malintesi. Provo a spiegare con un esempio.
Michele, poco meno di 30 anni, è figlio di un piccolo imprenditore locale, e mi chiama per “migliorare il mio inglese”. Come nella media dei clienti che mi contattano, Michele ha un buon inglese di base e, come di consueto, quando indago più a fondo per identificare un obiettivo quantificabile, tangibile, mi chiarisce che ciò che desidera è in realtà portare il suo inglese ad un livello che gli consenta di condurre negoziazioni con i partner internazionali della piccola impresa familiare, fondata dai suoi genitori che tra qualche anno gli sarà completamente affidata. Michele ha già avuto diverse esperienze di corsi d’inglese, trovandosi sempre insoddisfatto dell’esperienza, senza però essere in grado di chiarire (soprattutto a se stesso) le ragioni concrete di questa insoddisfazione.